Sarebbe difficile dar conto d’una giornata come questa. Chi non sa che la lettura frettolosa d’un libro, il quale ci abbia trascinati irresistibilmente, ha esercitato la più grande influenza su tutta la nostra vita e ha prodotto subito un effetto, al quale una seconda lettura o una più matura riflessione non hanno potuto più tardi aggiungere che poco? Questo mi è accaduto una volta con la lettura di Spinoza. E non ci accade forse lo stesso con gli uomini di valore? Oggi abbiamo compiuto una gita in barca fino a Pozzuoli, delle piccole escursioni in carrozza, allegre scampagnate attraverso la regione più bella del mondo. Sotto il cielo più puro e il terreno più infido, rovine di un’opulenza appena credibile, tristi, maledette; acque bollenti, zolfo, grotte esalanti vapori, montagne di scoria ribelli a ogni vegetazione, lande deserte e malinconiche, ma alla fine, una vegetazione lussureggiante, che s’insinua da per tutto appena è possibile, che si solleva sopra tutte le cose morte in riva ai laghi e ai ruscelli e arriva fino a conquistare la più superba selva di querce sulle pareti d’un cratere spento. Così, siamo stati di continuo sballottati fra le vicende della natura e della storia.
Si vorrebbe meditare, ma non ci sentiamo capaci. Intanto, chi vive continua a vivere allegramente e noi stessi non abbiamo mancato di confermarlo. Uomini di cultura, di mondo e di vita, ma non insensibili agli ammonimenti d’un destino superiore e inclini alla riflessione. Ecco ciò che i nostri occhi hanno ammirato: una veduta senza confini sulla terra, sul mare, sul cielo, richiamata alla realtà dalla presenza d’una donna giovane e simpatica, abituata e non indifferente agli omaggi. Fra tanta ebbrezza non ho mancato, tuttavia, di fare alcune osservazioni. Per trascriverle ordinatamente in seguito, mi saranno di ottimo aiuto la carta topografica di cui mi sono servito sul posto e un rapido schizzo del Tischbein. Sulla giornata odierna, intanto, non mi è possibile aggiungere la più piccola notizia.
Il 2 marzo sono salito sul Vesuvio benché il tempo fosse coperto e il cono avvolto nelle nubi. Fino a Resina sono andato in carrozza, poi ho incominciato la salita sopra un muletto, attraversando i vigneti e ho proseguito finalmente a piedi, sopra la lava del 1771, già rivestita d’un muschio fine ma tenace. Più innanzi ancora, lasciammo in disparte la lava, trascurando la capanna dell’Eremita, in alto a sinistra. Da qui inizia la salita della montagna di cenere, impresa da non prendersi a gabbo. Due terzi del cono erano coperti di nuvole, finalmente raggiungemmo il vecchio cratere ora tutto colmato e ritrovammo le lave recenti di due mesi, di quindici giorni e perfino una di cinque giorni, già raffreddata.
Ne guadagnammo la cima percorrendo una collina vulcanica di recente formazione: fumigava da tutte le parti, il fumo però fuggiva in direzione opposta a noi ed io mi decisi a salire fino al cratere. Ci eravamo spinti per circa cinquanta passi fra il vapore, quando questo si fece così denso che io non potevo vedere le mie scarpe. Tenere il fazzoletto innanzi alla bocca non serviva a nulla; anche la mia guida era scomparsa e i miei passi sopra i frantumi di lava erano sempre più incerti. Pensai bene di ritornare indietro e di riservarmi l’agognato spettacolo per una giornata serena e con minor violenza di fumo. Intanto ho imparato a mie spese quanto sia difficile respirare in un’atmosfera siffatta. Del resto la montagna era tranquillissima: né fiamme, né boati, né pioggia di lapilli, come ha sempre fatto. Per ora ho praticato una semplice ricognizione, per poi porre l’assedio in piena regola non appena il tempo si metterà al bello.
Le lave che vi ho trovato erano per la maggior parte a me note. Ho scoperto tuttavia un fenomeno, a parer mio molto notevole e che mi propongo di studiare più da vicino consultandomi con gli intendenti e i collezionisti. Si tratta d’un rivestimento stalattitiforme d’un fumaiolo vulcanico, che un tempo era a volta, ma che adesso è aperto e che sorgeva dal vecchio cratere attualmente colmato. Questo masso duro, grigiastro, stalattitiforme, credo si sia prodotto mediante la sublimazione delle esalazioni vulcaniche più impercettibili, senza la collaborazione dell’umidità e senza fusione.
Mi darà, certamente, da pensare ancora. Oggi, 3 marzo, il cielo è coperto e soffia lo scirocco; tempo buono per dedicarsi alla corrispondenza. Quanto ad uomini di ogni fatta, bei cavalli e pesci meravigliosi, qui ne ho già visti abbastanza. Quanto alla posizione della città e alle sue singolari bellezze tanto descritte e decantate, non ho parole da aggiungere. Vedi Napoli e poi muori! dicono qui”
Da Johann Wolfgang Goethe “Viaggio a Napoli” (ed. Intra Moenia, Napoli 2014)